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PACIFIC TRASH VORTEX: L’ISOLA DI PLASTICA CHE GALLEGGIA NELL’OCEANO PACIFICO

Conosciuta anche come “Great Pacific Garbage Patch” (Grande chiazza di immondizia del Pacifico), la grande isola di patica, immondizia e detriti che galleggia nell’Oceano Pacifico è l’cona della continua e crescente minaccia dei mari, della fauna e dell’intero ecosistema.
Questa enorme montagna di rifiuti, si estende per migliaia e migliaia di chilometri quadrati: inizialmente le sue dimensioni erano di 700.000 km2 , ad oggi, invece , si stima una grandezza di 1,6 milioni di km2.
La sua formazione, avvenuta a partire dagli anni 80’, è stata causata dall’inquinamento e dalla corrente oceanica chiamata “Vortice subtropicale del Nord Pacifico” che, proprio per la presenza di questo vortice, permette ai rifiuti galleggianti di aggregarsi fra loro nei primi strati della superficie oceanica.
Oggi la Pacific Trash Vortex contiene soprattutto plastica: grandi oggetti come bottiglie, boe, corde, vecchie reti da pesca e polimeri sono i principali componenti di questa enorme “isola”.
Quest’enorme quantità di rifiuti nuoce gravemente sulla salute degli animali acquatici e marini i quali, dopo l’ingestione di queste sostanze, muoiono o subiscono perforazioni/ occlusioni dell’apparato digestivo. Per cercare di fronteggiare il problema, sono state avviate moltissime campagne finalizzate alla riduzione dei rifiuti in mare e alla salvaguardia della fauna come, ad esempio quella promossa dalla “The Ocean Cleanup” volta alla pulitura dei mari dalla platica.

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LE “SPADARE” E LE TECNICHE INTENSIVE DANNOSE PER LA SALUTE DELL’OCEANO INDIANO

Coniato da noi italiani, il termine “spadare” fa riferimento alle “reti derivanti d’altura” o “reti da posta derivanti” ovvero a tutte quelle reti che non vengono ancorate al fondo dei mari o degli oceani, ma che sono lasciate libre di muoversi a seconda della corrente grazie ad una serie di galleggianti che vengono posti sopra o appena sotto alla superficie dell’acqua.
Il loro utilizzo è stato vietato nel giugno del 1998 dall’Unione Europea, la quale accusava queste reti di non essere sufficientemente selettive e di conseguenza di intrappolare un numero inaccettabile di animali marini e no.
Questa pratica oggi viene ancora largamente utilizzata dell’Oceano Indiano con conseguenze drammatiche per gli ecosistemi (proprio a causa di esse, le popolazioni di squalo sono crollate dell’85% negli ultimi cinquant’anni).
Oltre a questa pratica, nell’Oceano Indiano, ci sono altre tecniche di pesca intensiva, vietate, che mettono a rischio la salute dell’ecosistema.
Greenpeace combatte attivamente per la riduzione di queste pratiche e salvaguardare la flora e la fauna oceanica.

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DELFINI MUTILATI A CAUSA DEI PESCHERECCI NELL’ATLANTICO

Di forte impatto è il numero di delfini che sono stati trovati spiaggiati sulle coste Atlantiche della Francia negli ultimi 3 mesi: sono stati 1100 quelli trovati nel gennaio del 2019, ma i numeri reali potrebbero essere addirittura 10 volte superiori poiché molti esemplari sono affondati senza lasciare alcuna traccia.
La presunta responsabilità è da attribuirsi alle navi pescherecce che transitano nell’Atlantico che a causa delle loro reti intrappolano questi animali segnandone una triste fine.
Questa tesi è confermata dalle autopsie fatte ai mammiferi i quali, nella maggior parte dei casi, sono stati trovati morti per mancanza di ossigeno (dopo essere stati intrappolati per lunghi periodi sott’acqua senza resinare) oppure per segni riconducibili alle reti.
Per cercare di arginare il problema è stata avviata l’iniziativa nominata “Operation Dolphin Bycathc” la quale ha lo scopo di prevenire e risolvere il fenomeno.

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